Museo della Polvere da Sparo e del Contrabbando

ll MUSEO della POLVERE da SPARO e del CONTRABBANDO illustra una singolare attività economica, sviluppatasi a partire dall’Ottocento, che ha interessato gran parte della popolazione dell’antico feudo di Chitignano: la produzione di polveri piriche in vari stabilimenti situati lungo il torrente Rassina e i suoi affluenti.

Il percorso museale, articolato in due sezioni, è indirizzato ad illustrare questa antica attività. Mentre nella prima sezione viene illustrata la sapiente miscela di carbone, salnitro e zolfo, che opportunamente combinati, consentono la produzione di polvere da sparo, nella seconda, accanto a informazioni sui polverifici maggiori, quelli dei Prati e dei Ciofi, viene illustrata la produzione clandestina di polveri che – lavorate nei vari “pilli” disseminati nei boschi, lungo i corsi d’acqua secondari, in luoghi spesso inaccessibili – venivano poi vendute nel mercato del contrabbando. Conclude il percorso la sala adibita a proiezioni dove è possibile vedere riprese filmiche che documentano questa attività.

All’esterno è stato allestito un itinerario, detto della POLVERIERA dell’INFERNO, che porta ad uno dei “pilli” più grandi e tuttora ben conservati, situato lungo il torrente denominato Rio, in uno scorcio paesaggistico suggestivo.

Una storia di Contrabbandieri

Polvere pirica e tabacco: questi erano i due “prodotti” che venivano lavorati e poi contrabbandati a Chitignano. Tale realtà risulta comprensibile solo se inserita in un panorama più ampio fatto di situazioni analoghe che creavano un mercato di scambio; infatti il tabacco non viene coltivato in zone di montagna, e a Chitignano in realtà si ricercava il tabacco per poi lavorarlo e vendere il prodotto finito. I1 tabacco liberamente coltivato costituì, nel periodo che va dal 1789, anno in cui ne fu concessa la coltivazione, al 1830, anno in cui se ne faceva divieto, una voce importante nell’economia di Chitignano; dopo questa data il contrabbando sicuramente aumentò, e si mantenne anche con il ripristino della coltivazione avvenuta dopo l’Unità d’Italia. A differenza del tabacco, la fabbricazione della polvere pirica si configurò fin da subito come lavorazione effettuata anche su scala industriale, dotata di licenze ed autorizzazioni. Ma accanto alle lavorazioni ufficiali, esisteva una vasta gamma di manipolazioni clandestine, documentate dai numerosi mortai in pietra, i “pilli”, disseminati lungo le pendici dei monti, o in prossimità di corsi d’acqua, spesso in luoghi inaccessibili.

… nella vita hanno sempre orecchio, lavorar poco e guadagnar parecchio, intendo dire che aguzzar l’ingegno e nei momenti tristi della vita, mentre gli altri si stavan disperando, loro vivevano di contrabbando: era polvere, sigaro e tabacco portato e lavorato qui in paese e spesso miglioravano le cose con tavolaccio e con foglie di noce…
(Da una ballata cantata nella rievocazione del contrabbando del 1976)

La produzione di polvere da sparo

Probabilmente il venir meno della coltivazione del tabacco, vietata in tutto il Granducato a partire dal 1830, e del relativo contrabbando ha spostato l’attenzione verso la produzione e il commercio della polvere da sparo.
La presenza di numerose sorgenti e corsi d’acqua e la disponibiltà di boschi per la produzione del carbone, spinge ad impiantare, lungo il torrente Rassina e lungo il Rio, varie polveriere che producono polvere da sparo al di fuori di ogni controllo degli organi di sorveglianza. La polvere da sparo o da mina veniva venduta localmente negli spacci autorizzati, o commerciata clandestinamente attraverso il contrabbando in Casentino, Valtiberina, Romagna, Valdichiana e Maremma.
Accanto ai polverifici maggiori, quelli dei Prati e dei Cicli, regolarmente autorizzati in base ai regolamenti di sicurezza, si sviluppa la produzione e il commercio di polveri di contrabbando che venivano lavorate in “pilli” (rudimentali mortai scavati nella pietra), disseminati nei boschi, lungo corsi d’acqua secondari, in luoghi inaccessibili, per essere poi vendute nel mercato del contrabbando, fino alla metà di questo secolo.
Oltre agli stabilimenti di Chitignano troviamo a fine Ottocento, la presenza in Casentino di altri stabilimenti ido nei alla produzione di polvere pirica Si tratta del polverificio di Antonio Magnanimi, in località La Lama, nel co mune di Subbiano, di quello di Chiaravalle, in località Petrognano, nel comune di Giovi, di proprietà di Vincenzo Belloni, e inoltre della fabbrica deposito di polveri piriche situati presso il Fosso alla Febbre, e della fabbrica in località Ghiaie di Striano, entrambe nel comune di Talla.

Il Pillo

La produzione di polveri esplodenti nel territorio del comune di Chitignano ha costituito un’attività per lungo tempo dominante; ha tradizioni antiche, legate probabilmente alla presenza del feudo e quindi alla possibilità di sfuggire alla legislazione ordinaria e di costituire una sorta di “enclave” economica-commerciale, dedita al contrabbando e agli scambi di merci proibite con i territori circostanti.
La lavorazione manuale della polvere pirica avveniva manualmente, ed in qualche caso con lo sfruttamento della forza idraulica, in appositi mortai di pietra, che a Chitignano erano detti “pilli” (da pilla, pila), spesso nascosti nei boschi e lungo i corsi d’acqua, nei quali si trituravano e si mescolavano i tre elementi per la produzione delle polveri: carbone, salnitro e zolfo.
Lungo il torrente Rassina e lungo il Rio si sono nel tempo sviluppate queste attività basate sulla disponibilità locale di legname tenero adatto per il carbone necessario alla preparazione della polvere. I luoghi erano molto isolati, nascosti, adatti ad una attività che doveva sfuggire al controllo delle autorità: il Repetti descrive questa zona
del territorio comunale, presentandola come un paesaggio impervio “a traverso di un bosco di guerci e castagni (…) nel profondo letto di un borro chiamato Rio (…) fiancheggiato e racchiuso quasi per ogni sua parte da colline”.
Il carbone era prodotto localmente dagli abitanti: e risultava particolarmente adatto per la produzione delle polveri quello ricavato dal legname del nocciolo, o del vetrice; mentre lo zolfo era importato dalla Romagna, il nitro veniva acquistato sul mercato o raccolto pazientemente nei fondi o negli anfratti umidi delle case o delle caverne lungo il Rio.
Il controllo della Prefettura e del Genio Civile sui polverifici ci consente di conoscere la loro consistenza e le vicende delle loro trasformazioni fino alla seconda guerra mondiale, quando l’attività cessa per la distruzione da parte dei tedeschi in ritirata dei due stabilimenti. Invece non sappiamo quasi nulla – se non quello che ricordano gli anziani testimoni – circa l’attività di produzione clandestina delle polveri esplodenti esercitata da numerosi abitanti del luogo, in zone irraggiungibili del territorio comunale, dove ancora oggi si conservano decine di “pilli” scavati in grossi massi di pietra e rimasti nei boschi, in anfratti e asperità spesso dimenticati dagli stessi abitanti.

Polveriera: I Prati

Un polverificio, organizzato in dimensione industriale, si trova lungo il torrente Rassina in località la Buca del
Tesoro, prima dell’abitato di Rosina – denominato I Prati – e compare in attività fin dai primi anni dopo l’Unità d’Italia, quando appartiene a un tal Francesco Chisci che nel 1864 ottiene dal governo il permesso di esercitare la produzione di polvere da sparo.
Tra la fine Ottocento e i primi anni del Novecento lo stabilimento conoscerà vari passaggi di proprietà per approdare nelle mani della ditta Baschieri e Pellagri, che aveva un altro stabilimento per la produzione di polvere da sparo a Marano di Castenaso, nel Bolognese. I nuovi proprietari, titolari della Società Italiana per la produzione di acapnia, fecero dello stabilimento di Chitignano una grande fabbrica nella quale trovavano occupazione diverse decine di addetti. Lo stabilimento, completamente recintato, è dotato di macchine alimentate dalla corrente elettrica prodotta da una centralina che preleva l’acqua dal torrente Rassina, e produce sia polvere “nera” da mina, che polvere da caccia, commerciata dalla ditta bolognese, con i1 logo “la Chitignano”.

Nel 1944 lo stabilimento viene fatto saltare in aria dai tedeschi in ritirata e non viene più ricostruito, mentre la
ditta Baschieri e Pellagri continua ad esercitare la produzione di polveri nel suo stabilimento di Marano di Castenaso, dove è tutt’ora attiva.

Polverificio: I Ciofi

Salendo per la strada provinciale che da Rassina porta a Chitignano si incontrano sulla sinistra, all’altezza del toponimo I Ciofi, tracce di un antico e importante polverificio, un tempo noto in tutta la Toscana:
si tratta del polverificio Menchini, del quale si vedono ancora parte degli stabili, ormai diroccati, destinati alla produzione e al deposito delle polveri.

In attività almeno dal 1869, viene più volte ingrandito ed ammodernato; nei decenni successivi viene dotato di macchinari mossi dalla forza idraulica fornita dall’acqua prelevata dal torrente Rassina attraverso un berignolo che alimenta a valle anche un mulino per cereali. Il polverificio, esercitato dalla famiglia Menchini, viene distrutto nel 1944 dai tedeschi in ritirata, e riattivato dopo la guerra, resta in attività fino al 1966. I resti dello stabilimento, ormai in gran parte nascosti dalla vegetazione, appartengono tuttora ai figli degli antichi proprietari: la famiglia Menchini, residente a Rassina.

Il Castello dei Conti Ubertini

E’ uno dei più antichi manieri del Casentino, fu dimora preferita dei Vescovi di Arezzo che qui trascorrevano la villeggiatura. Si conservano ancora il Corpo di guardia, la prigione, la Stanza delle sentenze, quella delle Armi e il Cassero. A cento metri dal castello si trova la Podesteria.

Telefono:
333 9104810
Orario di apertura:
Apertura su prenotazione